Il 5 novembre del 2015 la diga di proprietà dell’azienda mineraria Samarco crolla, riversando nell’ambiente oltre 50 mila tonnellate di fango tossico.
Una violenta cascata che, travolgendo il villaggio di Bento Rodrigues, trascinerà via con sé 19 vittime lasciando circa 300.000 persone senza acqua potabile.
Quello che successivamente sarebbe stato definito il più grave disastro ambientale nella storia del Brasile ha provocato, nell’ordine, la distruzione di un’intera vallata, l’inquinamento del Rio Doce e il conseguente avvelenamento per mesi dell’oceano Atlantico, dove il fango tossico terminava la sua corsa.
Una catastrofe che, oltre alla ditta Samarco, ha visto coinvolte le imprese BHP e Vale co-proprietarie della diga.
Poco più di 200 chilometri separano il villaggio di Bento Rodrigues con il comune di Brumadinho dove, dopo 5 anni di proclami sul fatto che il disastro della Samarco dovesse fare da monito per il futuro, la storia si è ripetuta.
Alle 12.20 di venerdì 25 gennaio 2019 la diga appartenente alla ditta Vale, la più grande compagnia mineraria del Basile, cede (video) replicando una catastrofe che dopo più di una settimana dall’accaduto non ha ancora smesso di restituire copri: oltre 100 vittime, circa 300 le persone ancora disperse e più di 25 mila quelle sfollate. Inquantificabili le perdite animali e le condizioni di avvelenamento del suolo.
Ma la storia, che sia recente o meno, evidentemente non insegna, sopratutto quando ci sono interessi economici in ballo.
Da mesi, infatti, le imprese BHP e Vale lavorano ad un progetto per la riapertura entro il 2020 dell’impianto Samarco, nonostante i precedenti, le numerose dighe non a norma già presenti in Brasile, revisioni delle infrastrutture e certificazioni quanto meno discutibili.
Nel caso della diga di Brumadinho test, ispezioni e certificazioni erano state rilasciate da TUV SUD, ente tedesco con filiali anche in Italia che al momento del disastro non ha rilasciato dichiarazioni in merito.
Atteggiamenti e dinamiche che mostrano ancora una volta come compagnie, aziende e multinazionali, a prescindere dal settore operativo, giochino a totale vantaggio del mercato, subordinando l’esistenza stessa agli interessi del capitalismo, fenomeno supportato e spalleggiato dal riaffermarsi di regimi fascisti.
Il presidente Bolsonaro, il cui programma politico si basa sulla costruzione di un Brasile fatto per le maggioranze (determinate dal capitale economico) al quale tutt* gli/le altr* (popoli indigeni, comunità lgbtq e chiunque lotti per la liberazione) si dovranno inchinare o scompariranno, sorvolando con un elicottero l’area interessata dal crollo della diga Vale ha dichiarato:
Faremo tutto il possibile per assistere le vittime, contenere i danni, accertare i fatti, garantire la giustizia e prevenire nuove tragedie come quelle di Mariana e Brumadinho, per il bene dei brasiliani e dell’ambiente
A neanche 48 ore dall’accaduto 130 militari delle IDF (Forze di Difesa Israeliane), tra cui divisioni delle forze speciali navali dotate di strumenti per ricerche subacquee (Yaltman), sono decollati con un volo diretto a Belo Horizonte, su appello di Bolsonaro.
A primo avviso si potrebbe pensare ad un’opera di greenwashing da parte delle milizie israeliane che, solitamente impiegate nella persecuzione di popolazioni identificate come scomode o sacrificabili, offrono un disinteressato supporto nella risoluzione di una catastrofe, ma siamo ovviamente ben distanti da un panorama di questo tipo.
Si tratta invece di una chirurgica strategia di marketing mirata a rabbonire l’opinione pubblica su operazioni economiche già avviate, e che nei prossimi mesi vedranno l’acquisizione da parte del Brasile di apparecchiature e tecnologie militari israeliane, nell’ambito di operazioni finalizzate ala rafforzamento reciproco tra regimi totalitari.
Fenomeno che, attraverso la vendita in America Latina di tecnologie militari come indennizzo alla fornitura di generi agricoli di prima necessità, sin dalla fine degli anni ’60 vede il supporto dello stato di Israele a quei regimi dittatoriali che gli garantiscono un qualche tornaconto economico.
Il regime militare instaurato da Bolsonaro in Brasile completa quell’arteria fascista che, con i governi Macrì in Argentina e Pinera in Chile, da tempo pompa repressione, tra persecuzione e criminalizzazione della resistenza Mapuche, dei popoli indigeni e, in generale, di chi lotta per distruggere quelle dinamiche di dominio e sopraffazione vomitate dal sistema capitalista.
continua…
RS
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Fonti: ansa – sicurezzainternazionale – reportdifesa – il post – reuters